Il cortile che ospita il Dojo Scuola della Respirazione, in zona China Town-Milano, sarà aperto per far conoscere le pratiche che si possono scoprire ed approfondire al suo interno: Aikido, Katsugen undo, Kobudo, Atelier di pittura EXpressione. Si tratta di pratiche di diversa origine, giapponese e europea, che sono accomunate dal fatto di favorire il risveglio dell’individuo e delle capacità innate presenti in ognuno. Si praticano negli spazi del cortile di via Fioravanti 30: il dojo Scuola della Respirazione e l’Atelier EXpressione.
PROGRAMMA Venerdì 25 Settembre 19.00 Dimostrazione di Aikido
Sabato 26 Settembre 10.00 Seduta di prova di Aikido 19.00 Presentazione del Katsugen undo (Movimento rigeneratore) Proiezione di una video-intervista a Régis Soavi Sensei
Domenica 27 Settembre 16.00 Seduta di prova di Kobudo 19.00 Presentazione dell’Atelier EXpressione
Evento gratuito.
Il numero dei posti è limitato: prenotazione obbligatoria telefonando al 331 7250843 oppure compilando il modulo a questo link.
All’interno dell’Atelier EXpressione1, che si trova nello stesso cortile del dojo Scuola della Respirazione, in via Fioravanti 30, si dipinge, o meglio si traccia, su fogli bianchi attaccati al muro con delle puntine. Le pareti sono rivestite di mille colori. Bambini e adulti insieme, nessuno dice loro cosa dipingere, nessuno dà loro un tema, un soggetto, nessuno esprime un giudizio su cosa viene rappresentato. All’Atelier non si dipinge per comunicare qualcosa.
Atelier EXpressione
Arno Stern, scopritore dell’Espressione, dice: “Se le tracce, prodotte all’interno [dell’Atelier], potessero essere accolte, amate o disprezzate, interrogate, sottoposte allo sguardo esterno, sarebbero “arte”. […] Il fatto è che l’Espressione è un’emissione che non prevede un ricevitore”.2
Se queste tracce prevedessero un ricevitore, un pubblico anche solo potenziale, si potrebbe parlare di creazione artistica. Ma non si tratta di arte né di comunicazione, si parla di Espressione, di emissione, perché la traccia è qualcosa che nasce dall’interno delle persone, da un loro bisogno profondo, che può scaturire senza nessuna preoccupazione di come essa potrebbe essere recepita all’esterno, perché ciò non avverrà mai. È un bisogno che è presente in ogni essere umano, fin dall’origine. Ognuno risponde a questo bisogno come lo sente interiormente, ad esempio tracciando un solo dipinto per tutta la vita, aggiungendo nuovi fogli ai precedenti, il che può durare all’infinito, se lo si desidera. Altri faranno ogni volta un nuovo dipinto, ma forse alcuni ripeteranno sempre la stessa cosa, lo stesso soggetto, oppure utilizzeranno sempre lo stesso colore. Le tracce rispondono a un bisogno primario dell’essere umano, e le condizioni che si trovano nell’Atelier favoriscono la manifestazione di queste tracce. La possibilità di far uscire le tracce permette di ricollegarci con qualcosa che è nella nostra parte più intima, che Arno Stern ha chiamato la Memoria Organica3. Per questo dipingere all’Atelier è una pratica del Non-Fare.4
L’Atelier EXpressione di Milano è stato creato con il sostegno di Régis Soavi Sensei. Conferenziere e insegnante di Aikido e Katsugen undo, ha frequentato per un lungo periodo Arno Stern. Ha favorito l’apertura negli anni di atelier anche a Parigi e Tolosa, riconoscendo nell’Espressione una pratica del Non-Fare, così come lo sono l’Aikido e il Katsugen undo, nella forma in cui vengono praticati alla Scuola della Respirazione.
1. Il nome EXpressione è stato scelto per sottolineare che le tracce permettono di far uscire, manifestare all’esterno qualcosa che è all’interno di ogni essere umano.
2. Arno Stern, Bambini senza età, Luni, 1995, pag. 36.
3. “Esiste una memoria, nella quale sono registrate le nostre sensazioni embrionali, che sfugge a qualunque indagine della ragione: la Memoria Organica.” Arno Stern, Il gioco del dipingere, Ed. Uroboros, 2013
4. Régis Soavi, Dipingere in un Atelier di EXpressione, una pratica del Non-Fare, conferenza del 15/03/2003 a Parigi, disponibile qui.
Alla Scuola della Respirazione si pratica l’Aikido come è stato proposto in Europa da Itsuo Tsuda Sensei e trasmesso oggi da Régis Soavi Sensei. Itsuo Tsuda Sensei, allievo di Ō Sensei Morihei Ueshiba negli ultimi dieci anni di vita di quest’ultimo, non era interessato all’Aikido come sport, arte di combattimento o arte marziale, ma piuttosto alla possibilità di condurre attraverso quest’arte una ricerca interiore e personale.
Itsuo Tsuda durante una seduta di Aikido nel dojo di Parigi, negli anni ’70.
Coerentemente con questa ricerca, si può tradurre Ai-ki-do con “Via (do) della fusione (ai) del ki”, in quanto permette di sentire il ki1 in modo più fine man mano che lo si pratica. Si può affinare la propria sensibilità al ki della persona con cui pratichiamo, e anche al ki del luogo dove ci troviamo. La possibilità di fondere, sui tatami, la nostra sensibilità con l’altro e con quello che ci circonda, con il tempo si estende anche alla vita quotidiana così da essere sempre di più in armonia con gli altri, con la natura, e con la nostra natura più profonda.
A tal proposito, vi consigliamo la lettura di questi articoli di Règis Soavi Sensei:
Il ki, una dimensione a pieno titolo “Niente potrebbe essere fatto senza il ki: è per questo che è al centro della nostra pratica. Noi mettiamo la nostra sensibilità in questa direzione e così si può vedere il mondo e le persone non solo a livello dell’apparenza ma molto oltre, nella loro profondità.”
1. Non esiste una parola nelle lingue occidentali per tradurre il termine giapponese ki, a volte viene tradotto con “energia vitale”, “respirazione”, “soffio vitale”, ecc.
Al dojo Scuola della Respirazione si pratica il Katsugen undo, che è stato tradotto da Itsuo Tsuda Senseicon Movimento rigeneratore.1 È una pratica molto semplice ma difficile da spiegare a parole, di solito si dice “è una ginnastica, un allenamento del sistema motorio extrapiramidale (sistema involontario)”. Ma questa formula in realtà non spiega molto per la maggior parte delle persone che la sentono per la prima volta. Allora cosa si fa durante una seduta di Katsugen undo? Praticamente niente! In questo senso si può dire che è una pratica del Non-Fare. Perché il sistema volontario sospende per qualche minuto il controllo che di solito esercita sul corpo, passando momentaneamente la mano al sistema involontario che fa scattare un movimento di cui il corpo stesso ha bisogno per riequilibrarsi. Ogni individuo ha il proprio equilibrio che cambia ad ogni istante. Anche perché viene di continuo messo in disequilibrio dagli stimoli dell’ambiente che lo circonda. Da questo nasce il bisogno di trovare un nuovo equilibrio, senza soluzione di continuità. Quando camminiamo, per esempio, siamo sempre per frazioni di secondo in disequilibrio. Per ritrovare l’equilibrio, senza che ce ne accorgiamo, senza alcun nostro atto conscio, un piede si sposta in avanti grazie al sistema involontario che reagisce, dato che solo lui ha tale capacità. Tutti gli esseri umani hanno fin dal proprio concepimento la capacità di riequilibrarsi, è una capacità innata che, se la si vuole mantenere o ritrovare, deve essere preservata o riattivata.
Itsuo Tsuda durante una conferenza di Katsugen undo
“Facciamo un esempio in modo da rendere la cosa concreta: molte persone hanno tendenza ad appoggiarsi più su un gamba che sull’altra. […] sarà sempre la stessa gamba che serve da punto d’appoggio ed è per questo motivo che supporta permanentemente la maggior parte del peso, quindi si affatica e tende a usurarsi maggiormente e a diventare rigida. L’insieme dell’organismo soffre di questa dissimmetria e, in particolare, ovviamente in primo luogo la colonna vertebrale. Per mezzo di un rigonfiamento dovuto a un apporto di liquido o grazie a un dolore, e spesso anche tramite entrambe le reazioni, l’organismo cerca di alleviare il ginocchio che porta il tributo più pesante, impedendoci di utilizzarlo fino alla guarigione, cioè fino a che non si ristabilisce l’equilibrio del corpo nel suo insieme. Se si impedisce questo sviluppo forzando lo sgonfiamento e sopprimendo il dolore, il corpo diventato insensibile continuerà ad appoggiarsi sullo stesso lato e la situazione peggiorerà. Il corpo cercherà di ritrovare l’equilibrio in tutti i modi, all’inizio rinnovando i problemi alle ginocchia appena ritrova la sensibilità in questo punto, poi poco a poco sono le anche che iniziano a compensare la mancanza di flessibilità e alla fine la schiena, cioè la colonna vertebrale, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.”2
Il Katsugen undo permette al corpo di riequilibrarsi in modo naturale, con il ritmo proprio ad ogni individuo, se si risvegliano a poco a poco con la pratica le capacità proprie del sistema involontario, “attraverso un riapprendimento corporale, un riequilibrio lento ma profondo. Se invece non si accetta il lavoro del proprio corpo, bisognerà allora accettare la desensibilizzazione progressiva, l’irrigidimento progressivo e le sue conseguenze: una certa forma di Robotizzazione o l’indebolimento e l’incapacità di reagire.”3
Il Katsugen Undo come base del Seitai Il Katsugen undo, pratica messa a punto da Haruchika Noguchi Sensei, può essere considerato come la base del Seitai, la filosofia dello stesso H. Noguchi. Si tratta di una filosofia molto diversa da quella occidentale, di norma basata su antinomie e dualismi. È una filosofia pratica con una visione globale sull’individuo, sulla vita, sulla salute, sulla gravidanza, sull’educazione, ecc. Per H. Noguchi l’individuo è un’unità indivisibile, non un insieme di elementi di cui si occupano separatamente degli specialisti, esperti del fegato, del midollo spinale, del subconscio, e così via. “L’educazione ci ha formati a concepire il tutto come un assemblaggio delle parti. Così l’uomo ha una testa, due mani e due piedi. Quando pensiamo alla mano, è tramite l’idea generale di mano che ci riusciamo, come se questa mano di questa persona fosse solo un esemplare della mano in generale.”4 La filosofia di H. Noguchi non è contro la scienza, ma è diversa dalla scienza dominante che è scienza del generale perché propende per una “scienza del particolare”,5 una conoscenza di ogni singolo individuo, di ogni singola espressione della vita.
Haruchika Noguchi Sensei, fondatore del Seitai
A volte la complessità della visione seitai subisce una forma di riduzionismo: viene descritta soltanto come un metodo di salute. Se fosse così, si tratterebbe di un’ennesima terapia alternativa, più o meno dolce, più o meno in opposizione alla medicina convenzionale, più o meno simile ai tanti metodi, nuovi o antichi e riscoperti, che sono disponibili nella nostra società. Se si vuole, si può dire che il Seitai ha una concezione della salute diversa da quella più diffusa che vede la salute come assenza della malattia. Il Seitai, e la pratica del Katsugen undo, permettono alle persone di scoprire una diversa qualità della salute in cui la malattia è semplicemente una parte del lavoro che il corpo compie di continuo per ritrovare il proprio equilibrio.
Se il Seitai non può essere ridotto a un metodo di salute, non si può neanche ridurre, per esempio, a un metodo per il parto naturale o a un metodo educativo. I testi di H. Noguchi e I. Tsuda (colui che per primo ha scritto del Seitai in lingua occidentale) non sono manuali da applicare nel corso della gravidanza o dell’allattamento e non contengono regole per crescere i propri figli. Per esempio H. Noguchi dice che educare a fare quello che ha valore secondo il genitore, che gli fa piacere, e reprimere quello che non gradisce, viene considerato educare un bambino. Ma con quest’idea di educazione, gli si nuoce. La forma di educazione di cui parla H. Noguchi è quella che fa sviluppare al meglio l’autonomia del kokoro6 umano. È così possibile, per i genitori e per chi si occupa di bambini, un atteggiamento di ascolto e di attenzione verso i loro bisogni e un’educazione che non riempia il loro cervello dei valori degli adulti e di idee preconcette. In modo da permettere che i ragazzi si facciano, tramite una capacità di riflessione autonoma, un proprio giudizio personale sulla realtà che li circonda. Senza aderire a un’ideologia o a una contro-ideologia, senza schierarsi come dei tifosi di calcio pro o contro questa o quella forma di progresso tecnico-scientifico, sia l’alta velocità o la procreazione assistita.
Seitai e Katsugen undo: intervista a Régis Soavi Sensei
Tutti possono praticare il Katsugen undo indipendentemente dalle proprie opinioni in ambito politico, religioso, scientifico, ecc., proprio perché al dojo Scuola della Respirazione si è liberi. Anche quando alcune libertà “esteriori”, come la libertà di movimento, vengono limitate, questa pratica dà alle persone la possibilità di ritrovare la propria libertà interiore, non condizionata da circostanze esterne. E, allo stesso modo, la possibilità di pensare in modo autonomo, proprio perché nell’insegnamento di H. Noguchi e I. Tsuda, così come viene trasmesso oggi da Régis Soavi Sensei, vi è l’indicazione di un cammino che conduce verso l’autonomia dell’individuo. Questo cammino implica anche una sempre maggiore responsabilità rispetto ai propri atti e le proprie decisioni. Che riguardino la propria vita professionale, l’educazione dei propri figli o la propria salute, senza delegare a autorità superiori, siano esse dio, capoufficio, governo, padre, marito, medico.
1 Itsuo Tsuda, scrittore, filosofo e maestro di Aikido venne negli anni ‘70 in Europa, stabilendosi a Parigi, per far conoscere il Katsugen undo. 2 Régis Soavi, “Vivre Seitai” in Yashima, marzo 2020. 3 Ibidem. 4 Itsuo Tsuda, Un, Le Courrier du Livre, 2014, p. 84. 5 Dal titolo del terzo libro di Itsuo Tsuda La scienza del particolare, Yume Editions, 2019. 6 Con kokoro, si intende l’insieme di facoltà di raziocinio, sensibilità e volontà dell’essere umano, non come opposte al suo aspetto corporeo, ma come ciò che lo anima.
Lo scrittore e regista teatrale Yan Allegret si interessa da vent’anni all’Aikido e alla cultura giapponese tradizionale. Ha praticato in diverse palestre e dojo in Francia e in Giappone, interessandosi alla nozione di dojo: ciò che fa sì che uno spazio divenga, a un certo momento, “il luogo dove si pratica la via”.
Alla scoperta di un dojo tradizionale a Milano: il dojo Scuola della Respirazione della Scuola Itsuo Tsuda.
Avviene intorno alle 6 del mattino. Delle persone escono di casa e si dirigono verso un luogo. A piedi. In macchina. In metropolitana. Fuori, le strade di Milano sono ancora assonnate, quasi deserte. L’alba è vicina. La seduta di Aikido inizia alle 6:45. Il ritmo della città è ancora quello della notte. Quelli che sono usciti non hanno ancora indossato le corazze necessarie alla giornata di lavoro che si annuncia. Qualcosa rimane in sospeso. Con la nascita del giorno si ha l’impressione di camminare in un interstizio. È in quest’interstizio che troviamo il dojo Scuola della Respirazione della Scuola Itsuo Tsuda.
L’arrivo all’alba nei dojo della Scuola Itsuo Tsuda
In questo luogo dedicato all’Aikido e al Katsugen Undo, le sedute sono quotidiane. Tutte le mattine, la seduta ha luogo, con qualsiasi tempo, i weekend o le vacanze, tranne il primo gennaio, giorno della cerimonia di purificazione del dojo. L’alba influenza la pratica. Questa porosità è stata da sempre presa in considerazione nella tradizione giapponese. Basta rileggere il Fushi Kaden1 di Zeami, creatore del teatro Nō, per comprendere fino a che punto le arti tradizionali sono state alla ricerca del “momento giusto” (che tiene conto dell’ora, del tempo, della temperatura, della qualità del silenzio, ecc…) per rendere perfetta la loro arte.
Camminando verso il dojo alle 6:30, ce ne rendiamo conto. Praticare la mattina dà spessore. Lo spirito non è ancora assalito dalle preoccupazioni della vita sociale, familiare. Il mentale non ha ancora preso i comandi. Si arriva come un foglio bianco al numero 30 di via Fioravanti.
Dojo Scuola della Respirazione
L’Associazione Scuola della Respirazione esiste dal 1983 e si è stabilita qui dal 1993. È stata fondata da un gruppo di persone desiderose di seguire l’insegnamento di Itsuo Tsuda, trasmesso da Régis Soavi. Itsuo Tsuda fu allievo di Morihei Ueshiba e di Haruchika Noguchi (fondatori dell’Aikido e del Katsugen Undo). Quanto a lui, l’attuale sensei, Régis Soavi, è stato allievo diretto del Maestro Tsuda. Il dojo non è affiliato a nessuna federazione. Segue il suo percorso associativo, indipendente e autonomo, con continuità e pazienza. Quando si attraversa la soglia, si sente che si è entrati “da qualche parte”. Una forma di densità e al tempo stesso di semplicità emana dal posto. In giapponese si direbbe che il “ki” del luogo è palpabile. Lo spazio è silenzioso. Le persone sono riunite intorno ad un caffè, in un vasto ambiente con grandi finestre. Accanto, lo spazio dei tatami sonnecchia ancora. Le persone arrivano, tra le 6:20 e le 6:45: uomini e donne di tutte le età, di ogni dove e di tutti i livelli.
Il Sensei, Régis Soavi, a volte, è anche lui là, a prendere il caffè con gli altri. Di norma pratica e insegna al dojo Tenshin di Parigi, dal quale si assenta per andare a condurre degli stage negli altri dojo della Scuola. Tra questi vi è quello di Milano, dove in alcuni periodi dell’anno si ferma un po’ più a lungo, una settimana o dieci giorni, prima o dopo lo stage. Altrimenti, le sedute sono assicurate dagli altri praticanti. La costanza della pratica è protetta.
Calligrafia “Cento fiori” di Itsuo Tsuda, montata in kakejiku, realizzato da Sara Rossetti
Il dojo è vasto. Lo spazio dei tatami è ricoperto da un grande telo beige. Tutti i muri sono bianchi. Su quello centrale vi è una calligrafia del Maestro Tsuda montata in kakejiku. I ritratti dei fondatori (Ueshiba per l’Aikido, Noguchi per il Katsugen Undo e Tsuda per il dojo) sono situati sulle altre pareti. Sono le 6:45 circa. I praticanti si dirigono verso gli spogliatoi. La seduta sta per cominciare. I tatami sono stati lasciati a riposo dal giorno prima. Al di fuori delle sedute, il posto non viene affittato, fatto fruttare, utilizzato da altri corsi. Si comincia allora a capire da dove venga questo “qualche cosa” che si è sentito entrando. Un vuoto è al lavoro. Altro elemento capitale nella tradizione giapponese: l’importanza di un vuoto che unisce.
Tra le sedute, si lascia lo spazio ricaricarsi, riposarsi, come un corpo umano. Bisogna aver visto il posto nudo e silenzioso, come un animale a riposo, per comprendere la realtà di questo fatto. I praticanti si siedono in seiza, il silenzio si fa e la seduta comincia.
Sedute di Aikido e Movimento rigeneratore
Chi conduce si pone di fronte alla calligrafia, bokken in mano, poi si siede. Si saluta una prima volta. Poi viene la recitazione del norito, un’invocazione shintoista, di chi conduce la seduta. Il Maestro Ueshiba cominciava così ogni seduta. Il Maestro Tsuda, abituato alla mentalità occidentale, non aveva giudicato necessario tradurre questa invocazione. Aveva insistito solamente sulla vibrazione che ne emana, il lavoro della respirazione. Certo, la dimensione sacra è presente. Ma non per questo è religiosità, né mistica “giapponesizzante” di cui gli occidentali sono spesso ghiotti. No. Qui, è molto più semplice. Ascoltando il norito, si sente risuonare qualcosa nello spazio che favorisce la concentrazione, il ritorno dentro di sé. Come si può essere toccati da un canto senza aver bisogno di capire le parole.
Prima parte individuale: pratica respiratoria
Segue la “pratica respiratoria”, una serie di movimenti che facciamo da soli. Il Maestro Tsuda ha mantenuto questa parte del lavoro che faceva il Maestro Ueshiba e che ha potuto essere abusivamente considerata come un riscaldamento. Il termine riscaldamento è restrittivo. Impegna solo il corpo e suppone che la pratica, la vera, comincerà dopo. In entrambi i casi, è falso. Un solo movimento può essere approfondito all’infinito e implica, se si lavora in questo senso, la totalità del nostro essere. Viene poi il lavoro a due. Si sceglie un partner. Nessuna forma di gerarchia predomina. Si potrà un giorno praticare con un principiante, il giorno dopo con una cintura nera. Si lavorano quattro o cinque tecniche di Aikido per seduta. Chi conduce fa la dimostrazione di una tecnica, poi ognuno si esercita a turno con il proprio partner. Quello che emerge dalla pratica è l’importanza della respirazione e l’attenzione a ciò che circola tra sé e il partner. Una circolazione che, prendendo il postulato del combattimento come punto di partenza, porta al di là. Un al di là dal combattimento.
Non è certamente per caso che Régis Soavi Sensei utilizza il termine “fusione di sensibilità” per parlare dell’Aikido. “La via della fusione del ki”. Sui tatami, nessun confronto brutale. Ma nemmeno condiscendenza molle. L’Aikido praticato qui è morbido, chiaro, fluido. Si vedono le hakama descrivere degli arabeschi in aria, si sentono risate, rumori di cadute, si vedono movimenti molto lenti poi, improvvisamente, senza una parola, i partner accelerano e sembrano trascinati in una danza, finché la caduta li libera. Si ripensa alla frase di Morihei Ueshiba: «L’Aikido è l’arte di unirsi e di separarsi». Non c’è passaggio di gradi. Né esame. Né dan né kyu. Al loro posto, il portare l’hakama e la cintura nera. I principianti, quanto a loro, sono in kimono bianco e cintura bianca. Il momento giusto per portare l’hakama è deciso dallo stesso praticante, dopo averne parlato con degli anziani o il Sensei. Scegliere di portare l’hakama implica di assumere una libertà, ma anche una responsabilità. Perché si sa che i principianti prenderanno più facilmente come modello coloro che portano la gonna nera tradizionale. La questione del grado è rigirata come un guanto. La chiave non è all’esterno. È la propria sensazione che si deve “affilare”, per riconoscere il momento giusto. Certo, ci si può sbagliare, si mette l’hakama troppo presto, o troppo tardi. Ma il lavoro è avviato. È in se stessi che si deve cercare. Quanto alla cintura nera, il Sensei un giorno la consegna al praticante che stima adatto a portarla, quest’ultimo non è peraltro mai al corrente di questa decisione. Ed è tutto. La persona porterà la cintura nera. Niente blabla. Il simbolo è preso per quello che è: un simbolo e niente di più. Il cammino non ha fine.
Vedendo la dimostrazione del movimento libero, nel quale le tecniche si concatenano spontaneamente, si ripensa al termine che torna spesso nelle opere e nell’insegnamento di Itsuo Tsuda: “Il non fare”. Ed è probabilmente ciò che dà quest’atmosfera così particolare al dojo, con l’alba, l’odore dei fiori davanti al kakemono e il vuoto. Una via del non-fare. La seduta si conclude. Il silenzio ritorna. Si saluta la calligrafia, chi conduce esce. Poi i praticanti lasciano lo spazio o piegano le loro hakama sui tatami. Più tardi, dopo essersi cambiati, ci si ritrova intorno ad una colazione, verso le 8:30, nell’ ambiente accanto ai tatami. Si cerca di saperne di più del funzionamento del dojo. Perché questo posto viva, perché sia allo stesso tempo vivente e autonomo finanziariamente, un’energia considerevole viene messa dai praticanti. Alcuni hanno fatto la scelta di dedicarvi una grande parte della loro vita. Sono un po’ come degli uchideshi giapponesi, degli allievi interni. Oltre alla pratica, gestiscono la colonna vertebrale del dojo, alternandosi poi con altri praticanti che si potrebbero associare a degli allievi esterni. Tutti partecipano, sono incoraggiati a prendere delle iniziative e a responsabilizzarsi.
Un anziano riassume l’insegnamento ricevuto: «L’Aikido. Il Katsugen Undo. E il dojo.» La vita di un dojo è qui un lavoro vero e proprio, un’occasione unica di mettere in pratica al di fuori dei tatami quello che si impara sui tatami. Piuttosto che un rifugio, una serra, l’immagine sarebbe quella di un terreno a cielo aperto in mezzo alla città, nel quale ci si mette a maggese all’alba, dove si dissodano le proprie erbacce per lasciare spazio, poco a poco, ad altre fioriture. Si guarda lo spazio vuoto dei tatami un’ultima volta prima di andarsene. Sembra respirare. Il giorno è spuntato e la città ora è in un ritmo rapido e rumoroso. Ci aspetta. Lasciamo il dojo e camminiamo fuori, con un leggerissimo sorriso. In un mondo di accumulazione e di riempimento sfrenato, esistono dei posti in cui si può lavorare attraverso il meno. Questo ne è uno.
(Un estratto di quest’articolo è stato pubblicato sulla rivista Karaté Bushido, ed. francese, febbraio 2014)
1. Zeami, La tradition secrète du Nô (La tradizione segreta del Nō). Traduzione René Sieffert, Gallimard/Unesco.
In ottemperanza alle direttive emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo stage di Aikido e Katsugen undo condotto da Régis Soavi Sensei, previsto dal 3 al 5 aprile 2020, è annullato.
In occasione di Milano Book City 2019, la Scuola della Respirazione è lieta di invitarvi, in anteprima nazionale, alla presentazione del libro “La Scienza del Particolare” di Itsuo Tsuda (1914-1984), pubblicato da Yume Editions, nuova traduzione in italiano dal testo francese.
Itsuo Tsuda è un filosofo e scrittore giapponese, maestro di Aikido e di Seitai. La sua opera ci parla della vita, la vita nei suoi aspetti concreti come la salute, l’educazione, il corpo. I suoi libri trattano di Aikido, di Movimento Rigeneratore ma soprattutto del ki e della respirazione come mezzi per risvegliare la sensibilità e per ritrovare la propria libertà interiore. In questo contesto, dove l’individuo diventa protagonista e responsabile della propria ricerca, “La Scienza del Particolare” è l’unica possibile per conoscere l’uomo come individuo nella sua unicità, anche quotidiana. Una visione controcorrente rispetto alla scienza del generale che prevale nelle società moderne e che appiattisce le particolarità considerando statisticamente gli individui come numeri.
Programma ORE 19.00 Letture di brani tratti dal libro e proiezione video a cura della Scuola della Respirazione.
Ingresso libero – si consiglia di prenotare inviandoci una mail.