ITSUO TSUDA Filosofo e scrittore, maestro di Aikido e di Seitai.
Letture e immagini a cura della Scuola della Respirazione.
9 novembre ore 16.00
Maestro sconosciuto al grande pubblico, personaggio atipico e tenacemente indipendente che divide la sua vita tra Giappone ed Europa dal 1914 ai primi anni ‘80 del Novecento, Itsuo Tsuda è prima di tutto filosofo. Introduce il Katsugen undo (Movimento Rigeneratore) in Europa all’inizio degli anni ’70 e resta ancora oggi una figura imprescindibile dell’Aikido. Nella sua opera tratta di Aikido, Movimento Rigeneratore, ma soprattutto del Ki e della respirazione come mezzi per risvegliare la sensibilità e per ritrovare la propria libertà interiore.
Le letture a cura del Dojo Scuola della Respirazione di Milano e la proiezione di un video su Itsuo Tsuda, ci introducono a questa figura poliedrica, alla sua eredità, ai suoi libri e alla pratica che si ispira al suo lavoro.
Ingresso libero, è necessario prenotare contattando la biblioteca.
L’evento si svolgerà presso la Biblioteca Parco Sempione Viale Cervantes | Municipio 1 0288465812 | c.biblioparco@comune.milano.it milano.biblioteche.it
In questo articolo, a partire da un tema tratto dall’I-Ching (esagramma Tsing = Il pozzo), Régis Soavi Sensei ci parla delle pratiche dell’Aikido e del Movimento Rigeneratore come strumenti di ricerca e approfondimento di sé.
Il dojo è, per essenza, il pozzo dove vengono a nutrirsi i praticanti di arti marziali alla ricerca della Via, del Tao. All’opposto del ring o della palestra, offre un luogo di pace necessario, se non addirittura indispensabile, per l’approfondimento dei valori umani.
Oggi viviamo alla velocità della luce. La comunicazione non è mai stata così rapida. Le onde cariche di bit e micro-bit circolano di continuo intorno al nostro pianeta, portatrici di molte più informazioni di quante il nostro cervello possa immagazzinarne. I social hanno rimpiazzato la conoscenza con uno smalto di superficie che può sembrare abbastanza adatto a soddisfare il nostro aspetto sociale. Se negli anni sessanta i membri dell’Internazionale situazionista fustigavano gli pseudo-intellettuali che si nutrivano di riviste come Le Nouvel Observateur o L’Express1 per alimentare le loro conversazioni mondane o i loro scritti, cosa direbbero della democratizzazione proposta ad ognuno per diventare il nuovo Monsieur Jourdain del Borghese Gentiluomo di Molière? È meglio conoscere un po’ di tutto piuttosto che approfondire qualcosa, questo sembra essere il motto della nostra epoca. Nelle arti marziali la tendenza sembra andare nella stessa direzione. Molte persone sono interessate alle immagini spettacolari ritrasmesse dai media dove si presentano le capacità fittizie di attori marziali, peraltro molto bravi nel loro mestiere, ma dove la ricerca è principalmente la resa superficiale oltre che commerciale. L’immagine del pozzo nell’antica Cina dovrebbe farci riflettere sulle tendenze che governano la nostra vita di tutti i giorni. Quando si attingeva l’acqua dal pozzo con l’aiuto di un secchio e di un palo, era proprio la ripetizione di un tale atto che permetteva la vita del villaggio, ed il beneficio fornito era considerato come inesauribile. E se prendessimo esempio da questa antica immagine? Quando si pratica un’Arte come l’Aikido non si tratta di accumulare un numero sempre maggiore di tecniche, né di ripetere beatamente l’insegnamento prodigato, ma piuttosto di iniziare una ricerca, di riorientarsi verso qualcosa di più profondo così da abbandonare il superficiale, il superfluo, che ci ha tanto deluso e che non sopportiamo più.
Molti di coloro che all’inizio sono estremamente entusiasti di iniziare un vero lavoro con il loro corpo, si stancano della ripetizione, troppo spesso scolastica, oppure si lasciano fuorviare dall’ultima moda. Si vedono così persone che collezionano i metodi e passano da un’arte all’altra, dallo Yoga al Tai-chi, dal Karate alla Capoeira, pensando a volte che una di esse sia superiore all’altra come spiega molto bene uno youtuber alla moda che fa attualità a suo piacimento. Di fronte a tutti questi personaggi che vivono solo per influenzare i loro followers e si guadagnano da viverealle loro spalle grazie al numero di «like» e alla pubblicità che generano, non sarebbe il momento di cercare in fondo a se stessi? Di prendersi il tempo di riflettere piuttosto che consumare passivamente la riflessione di un altro? Di muovere il proprio corpo per ritrovare un’armonia perduta piuttosto che cercare nel virtuale un complemento alla routine derivante dalla povertà del quotidiano? Il dojo in quanto luogo di ricerca possiede tutte le caratteristiche del pozzo: è al contempo un luogo di allenamento, poiché vi si attinge ogni giorno, e allo stesso tempo (e forse più) è un luogo di convivialità dove il sociale si sbarazza diciò che gli impedisce di essere vero, vale a diredi essere il più vicino possibile alla natura profonda degli individui. Un luogo dove la sociabilitàsfugge alle convenzioni, un luogo dove si può comunicare, entrare fisicamente in contatto con l’altro in modo semplice, con tutte le difficoltà che ciò può comportare per colui o colei che non è pronto o pronta. Tutta la difficoltà risiede nel fatto di non rimanere in superficie nella pratica, di non accontentarsi di surfare su un oceano di immagini diventate virtuali o sguazzare sulla riva e questo se possibile senza bagnarsi troppo, ma di impregnarsi di quello che vi si trova, di lasciare ciò che ci ingombra in modo da esplorarne le profondità. Il mio Maestro Itsuo Tsuda nel suo libroIl Non-fare2 ci dà con semplicità, un’idea della sua ricerca e del lavoro che ha intrapreso in Europa.
«Cosa sono io in confronto alla grandezza dell’Amore cosmico del Maestro Ueshiba, della tecnica del Non-Fare del Maestro Noguchi, o della raffinatezza insondabile del Maestro Kanze Kasetsu, attore del teatro Nō? Li ho conosciuti tutti e tre; due sono morti, solo il Maestro Noguchi è in vita [Haruchika Noguchi muore nel 1976]. La loro influenza continua a lavorare in me. Essi sono maestri per natura. Io sono solo un essere che comincia a risvegliarsi, che cerca ed evolve. Una straordinaria continuità di sforzi costanti caratterizza le opere di questi maestri. Ho l’impressione di trovare in un terreno arido, pozzi di una profondità eccezionale. Il punto in cui il lavoro di categorizzazione si ferma non è per loro che il punto di partenza. Hanno scavato ben al di là. Hanno raggiunto le vene d’acqua, la sorgente della vita. Tuttavia, questi pozzi non comunicano tra loro, anche se è la stessa acqua che vi si trova. Il compito che incombe su di me è quello di stendere una carta geografica, di trovare un linguaggio comune.» Questo linguaggio, Itsuo Tsuda lo troverà nell’arte della scrittura (definiva se stesso scrittore-filosofo, come testimonia la sua lapide al cimitero di Père Lachaise), nell’insegnamento di una certa forma dell’Aikido basata sulla respirazione e l’approfondimento della sensazione del Ki, infine facendo conoscere il Katsugen undo (Movimento rigeneratore). Attraverso il suo lavoro, i suoi scritti, il suo insegnamento, riuscirà a creare un ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Ciò che minaccia il praticante di arti marziali e in particolare di Aikido è la noia dovuta alla ripetizione, alla ricerca dell’efficacia, al fatto di perfezionare la tecnica, e tutto questo a detrimento della profondità dell’arte, nonché della cultura che la sottende. Di fatto, la nostra epoca non è più soggetta agli stessi imperativi dei secoli scorsi, se è comunque utile essere in grado di reagire in caso di aggressione o di difficoltà, quello che sarà determinante è più la forza interiore e il risveglio dell’istinto, che la capacità di combattere. L’Aikido rimane una pratica del corpo, dove il rigore, la dinamica, il savoir-faire, hanno un’importanza capitale, ma il suo aspetto filosofico è tutt’altro che trascurabile. Questo aspetto non ha niente di contraddittorio, semmai il contrario, uno dei miei vecchi maestri Masamichi Noro l’aveva ben compreso quando, alla fine degli anni settanta, creò una nuova arte: il Ki no Michi (la via del Ki). La ricerca nell’Aikido è qualcosa di difficile e a volte può persino risultare deleteria, perché se non si tratta di affrontare altri combattenti, non si tratta neppure di meditazione o danza, e posso dire questo perché ho un immenso rispetto per queste arti, i cui pozzi sono diversi, ma la ricerca va sempre nella stessa direzione: andare a cercare sul versante dello sviluppo delle capacità umane, della cultura al di là del conosciuto, rimettersi in discussione e mettere in dubbio le idee del mondo, avanzare per far avanzare la nostra società per uscire forse un giorno dalla barbarie e dall’oscurantismo. Basta rileggere la conferenza di Umberto Eco3 su come l’essere umano si costruisca dei nemici per rendersi conto che abbiamo bisogno più che mai di conoscere l’altro per meglio comprenderlo. L’Aikido come Arte del Non-fare è una porta verso quello che molte persone cercano: la realizzazione di se stessi, senza un ego smisurato, ma nella semplicità, e con il piacere di un vissuto autentico.
1. Le Nouvel Observateur, settimanale francese fondato nel 1950, è il principale periodico generalista parigino in termini di diffusione. L’Express è un settimanale francese di attualità e politica fondato nel 1953 sul modello del periodico statunitense Time. 2. Itsuo Tsuda, Il Non-fare, Yume Editions – Parigi 2014 pp. 13, 14. 3. Umberto Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Bompiani Milano 2011.
Il Dojo Scuola della Respirazione è lieto di invitarvi alla giornata di porte aperte per la presentazione delle sue attività.
PROGRAMMA Sabato 21 Settembre Ore 19.00 Dimostrazione di Aikido Ore 20.15 Presentazione del Katsugen undo (Movimento rigeneratore) Video interviste di Régis Soavi Sensei (20 min. circa)
Domenica 22 Settembre Ore 10.00 Seduta aperta di Aikido (1h e 30 circa) Prenotazione consigliata scrivendo a yumedojo@scuolaitsuotsuda.org. Per l’abbigliamento se avete un keikogi (kimono) è l’ideale, in alternativa un pantalone di una tuta e una t-shirt vanno bene.
Domenica 26 maggio a una festa di quartiere che si tiene nel parco di via Livigno, zona nord di Milano, abbiamo organizzato una dimostrazione di Aikido con l’utilizzo del bokken, la spada di legno giapponese. Non ci interessava stupire il pubblico con pose marziali o tecniche spettacolari. Preferivamo mostrare quello che facciamo tutti i giorni nelle sedute di pratica regolare al dojo. Ma è pur vero che ricreare le condizioni di un dojo, il luogo in cui pratichiamo l’Aikido, in un luogo pubblico, all’aperto, in una festa di quartiere, non è facile.
Un dojo “è un po’ come uno scrigno…”. “Certo, è possibile praticare ovunque, adattarsi a tutte le circostanze. Ma è sempre auspicabile?” Facendo un parallelo con la musica, “si può suonare all’aperto, in una palestra, in una scuola, una chiesa, un ospedale, ecc. […] Ma una buona sala da concerto è un’altra cosa. È uno scrigno, dove il musicista, invece di passare il tempo ad adattarsi alla situazione, a compensare la cattiva acustica o altro, può immergersi nell’ascolto, cercare la finezza e far sorgere la musica.” [1]
Il Maestro Tsuda parlava di “un luogo dove lo spazio-tempo è diverso” [2], ed è “per questo che nella Scuola Itsuo Tsuda diamo tanta importanza alla creazione dei Dojo.”[3]
Domenica al parco abbiamo provato a ricreare le condizioni che troviamo al dojo, dove pratichiamo sempre davanti a una calligrafia, che per il Maestro Tsuda rappresentava un altro modo di trasmettere il suo insegnamento.
Abbiamo preparato lo spazio e montato su un cavalletto la calligrafia “Cento fiori”, a proposito della quale il Maestro Tsuda dando un’indicazione a mo’ di titolo disse “a ognuno il suo sbocciare”, ed anche “Cento fiori per indicare la diversità degli uomini”. [4]
Poi, come spiegato all’inizio della dimostrazione e come facciamo in ogni seduta, abbiamo iniziato con la Pratica respiratoria, come il Maestro Itsuo Tsuda chiamava la pratica individuale che precede quella in coppia. Per lui, come per O Sensei Ueshiba, questa parte iniziale è l’occasione di ritrovarsi un po’ alla volta, giorno dopo giorno di armonizzarsi con ciò che ci sta intorno e con noi stessi, in quanto apparteniamo alla Natura, siamo tutt’uno con essa.
Con questo stesso spirito, alla prima parte sono seguite alcune tecniche a coppie con il bokken e una dimostrazione di estrazione di spada giapponese.
L’importanza della pratica, della pratica regolare, non si può veramente spiegare a parole. Come scrive Régis Soavi Sensei, “lo spirito dell’Aikido si trova nella pratica stessa e poco a poco lo si scopre. Ed è un reale godimento questa scoperta. Le persone che iniziano, quando prendono coscienza della sua importanza, entrano pienamente in quest’arte che è la nostra.” [5]
Per noi era interessante praticare all’aperto e incontrare altre persone per far scoprire loro il nostro Aikido, ma la pratica regolare al dojo è un piacere incomparabile che tutti possono provare!
Note
[1] Manon Soavi, Dojo, un autre espace-temps, Dragon Magazine Special Aikido n. 18, 2017, p. 60-63, di prossima traduzione in italiano sul blog della Scuola Itsuo Tsuda.
[2] Itsuo Tsuda. Cœur de Ciel Pur, Éditions Le Courrier du Livre, 2014, p. 113.
[3] Manon Soavi, Dojo, un autre espace-temps, Dragon Magazine Special Aikido n. 18, 2017, p. 60-63.
[4] Itsuo Tsuda. Calligrafie di primavera, Yume editions, 2018, p. 330.
[5] Régis Soavi, L’esprit de l’Aïkido est dans la pratique, Dragon Magazine Special Aikido n. 18, 2017, p. 50-52, trad. it.
In questo articolo, a partire da un tema tratto da I-Ching (Khann = l’abissale), Régis Soavi Sensei ci parla dell’Aikido come una pratica di Misogi.
IlMisogi禊 è una pratica molto presente presso gli shintoisti. Consiste in un’abluzione, a volte sotto una cascata, in un corso d’acqua, o anche nel mare, e permette una purificazione allo stesso tempo fisica e psichica della persona. In un senso più ampio, Misogi include tutto un processo di risveglio spirituale. È anche un’azione che mira a dare sollievo all’essere da quello che l’opprime, per permettergli di risvegliarsi alla vita. L’acqua è sempre stata considerata come uno dei suoi elementi essenziali.
Come l’acqua, l’Aikido permette di realizzare il Misogi Ō sensei Morihei Ueshiba il fondatore dell’Aikido ripeteva in continuazione ai suoi allievi che la pratica di quest’arte era prima di tutto un Misogi. L’Aikido fa parte delle arti marziali giapponesi per le quali il carattere principale, la natura stessa, è proprio come per l’acqua, la fluidità. L’insegnamento di Itsuo Tsuda sensei, che fu per dieci anni uno degli allievi diretti del fondatore Morihei Ueshiba, non fa che confermarlo. Anche se le sue parole sembrano essere state in gran parte dimenticate si ostinava a ripetere: «Nell’Aikido non c’è combattimento, è l’arte di unirsi e separarsi». Tuttavia quando si guarda una seduta si vedono due persone che sembrano lottare l’una contro l’altra. La differenza viene dal fatto che se una di loro svolge il ruolo dell’attaccante, di fatto è un partner, non si troverà davanti alcuna aggressività, alcun gesto ostile, alcuna violenza, anche se dall’attacco deriva una risposta che può essere impressionante per la sua efficacia. In generale l’Aikido praticato nella Scuola Itsuo Tsuda si presenta come un’arte di una grande morbidezza in cui viene data la massima importanza alla sensazione, all’attenzione verso l’altro, verso colui o colei che è il partner, e la seduta inizia con una prima parte in scioltezza praticata individualmente. Lungi dal cominciare con un riscaldamento muscolare è attraverso degli esercizi, lenti, morbidi ma comunque tonici che si comincia. La coordinazione con la respirazione è indispensabile perché permette di armonizzare il ki e in tal modo di fare un primo passo verso la scoperta di un mondo che possiede una dimensione supplementare, il “Mondo del Ki”.
Il ki, una forza motrice. Ai, 合 l’unione, l’armonia Ki, 気 l’energia vitale, la vita Do, 道 la via, il cammino, tao Il ki non è un concetto, un’energia mistica, o una sorta di illusione mentale, il ki fa parte dell’ambito del sentire, delle sensazioni. In realtà tutti sanno di cosa si tratta anche se non gli si dà un nome nell’Occidente di oggi. Imparare a sentirlo, a riconoscerlo, a utilizzarlo, è necessario per chi vuole praticare un’arte marziale, ed è ancor più indispensabile nel caso della pratica dell’Aikido. Nell’Aikido se non ci si concentra sul ki, non resta che la forma, svuotata del suo contenuto, questa forma diventa subito un combattimento, una lotta dove il più forte, se non addirittura il più furbo, riesce a vincere l’altro. Si è così lontani dall’insegnamento del fondatore per il quale era un’arte della pace. Un’arte in cui non c’è né vincitore né vinto. Ad ogni movimento del partner c’è una complementarietà dell’altro, come l’acqua che si sposa con qualsiasi asperità, ogni angolo, senza lasciare nulla indietro.
Se all’inizio è difficile, è perché molto spesso abbiamo perso la mobilità, e soprattutto, perché ci siamo induriti per proteggerci dal mondo che ci circonda. Ci siamo costruiti un carapace, un’armatura, protettrice certo, ma che è diventata una seconda natura e una prigione invisibile. Fare circolare nuovamente il ki nel nostro corpo in modo da ritrovare la fluidità, seguire un insegnamento fondato sulla sensibilità, permette di comprendere fisicamente lo Yin e lo Yang.
Immergersi in un mare di ki Gli esercizi, così come tutte le tecniche proposte per la scoperta o per l’approfondimento sono non solo legate dal respiro, che altro non è che la materializzazione o per meglio dire, una visualizzazione del ki, ma permettono di riprendere concretamente coscienza del proprio corpo sia fisicamente sia a livello della sfera di ki, che gli indiani chiamano aura, e che oggi si è praticamente dimenticata quasi ovunque. Quello che le scienze moderne, e le neuroscienze in particolare, stanno scoprendo da alcuni anni non è che una piccola parte di quello che ciascuno può scoprire e realizzare materialmente nella propria vita quotidiana semplicemente attraverso la pratica dell’Aikido come lo insegnava Itsuo Tsuda sensei. Non smetteva di ripetere che l’Aikido di cui parlava il suo maestro Morihei Ueshiba era l’unione di Ka l’inspirazione, la forza ascendente, il quadrato, la trama e di Mi l’espirazione, la forza discendente, il cerchio, l’ordito. Ka è in giapponese una pronuncia di 火il fuoco (che compare per esempio come radicale in kasai 火災 incendio) e Mi la sillaba iniziale di Mizu水 l’acqua. L’insieme forma la parola Kami神che significa il divino nel senso della natura divina di ogni cosa. Itsuo Tsuda aggiungeva a questo proposito: «non bisogna vedere in questa glossa un valore analogo a quello di un’etimologia scientifica. È un gioco di parole, il cui uso è frequente tra i mistici»[1]. Non ho mai visto dei gesti così fluidi come quando ci faceva sentire una tecnica, ed inoltre non vi erano mai incidenti nel suo dojo, nessuna ferita, tutto era come immerso in un ki al tempo stesso rispettoso e generoso ma deciso e rigoroso, che faccio molta fatica a ritrovare oggi nelle palestre che servono all’allenamento degli aikidoka.
Il dojo, un luogo indispensabile Abbiamo veramente bisogno di un luogo speciale per praticare l’Aikido? Se si trattasse solo della superficie che accoglie le cadute potremmo benissimo posare i tatami ovunque, basta essere al riparo dal maltempo. Nel suo libro Cuore di cielo puro Itsuo Tsuda, intervistato da un giornalista, ci dà in modo estremamente chiaro una definizione di dojo, lui che era giapponese non poteva trovare parole più adatte per darcene un quadro.
Régis Soavi Sensei
«La Scuola della Respirazione è materialmente un “dojo”, questo spazio particolare in Oriente, che designa più lo spazio energetico che il luogo materiale in sé. […] Come ho già detto, il dojo non è semplicemente uno spazio a sé stante e riservato ad alcuni esercizi. È un luogo dove lo spazio-tempo è diverso da quello di un luogo profano. L’atmosfera è particolarmente intensa. Vi si entra salutando per sacralizzarsi e si esce salutando per desacralizzarsi. Gli spettatori sono ammessi, a condizione che rispettino questo ambiente, […]. Non bisogna fare superficialmente una parodia della pratica, con parole e gesti. Mi si dice che in Francia [o in Italia] si trovano dei dojo che sono semplicemente delle palestre o dei club sportivi. E sia. Ma quanto a me, voglio che il mio dojo sia un dojo, e non un club con un gestore e i suoi clienti, e questo allo scopo di non disturbare la sincerità dei praticanti. Il che non significa che essi debbano avere una faccia imbronciata e accigliata. Al contrario, bisogna mantenere uno spirito di pace, di comunione e di gioia»[2]. Uno spazio sacro dunque, eppure assolutamente non religioso, uno spazio laico, uno spazio di una grande semplicità dove la libertà di essere ciò che siamo, esiste, al di là della maschera sociale. E non quello che siamo diventati con tutti i compromessi che abbiamo dovuto accettare per poter sopravvivere nella società. Questa libertà sussiste all’interno, nel più profondo di noi stessi, nel nostro cuore intimo, il nostro Kokoro 心 come esprime così bene la lingua giapponese, e non sta chiedendo altro che rivelarsi.
[1] Itsuo Tsuda, La science du particulier, edizioni Le Courrier du Livre, Parigi 1976, p. 137.
[2]Itsuo Tsuda Cœur de ciel pur, edizioni Le Courrier du Livre, Parigi 2014, p. 14 e p. 113.